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Un abbandono lento e inesorabile.

Rivalutato in positivo dopo una prima visione.
Il montaggio non è impeccabili e lascia poco respiro tra una scena e l’altra.
La scrittura scorre bene a livello di personaggi e della loro profondità con sviluppi e dinamiche funzionanti (quasi sempre), meno nel dilatare gli eventi.
Mischiando commedia, dramma, azione e fantasy, riporta ad un genere di anni fa con gag comiche sia verbali che visive.

Chris Pine con il suo fascino ruvido sarebbe stato un grande divo anno ‘60.

Cate Blanchett è un magnete sullo schermo capace di mantenere saldo e concreto il film nella sua dimensione terrena, mescolandolo a sua volta in una versione astratta e spaventosamente fantastica.
Il merito è di mantenere gli attori in una dimensione realistica pur essendo tentati dall’assurdo.

Qualche scena divertente ma niente più.
Evidenti buchi di trama, ritmo rallentato dopo la prima parte, scelte inspiegabili per fini puramente narrativi e inutile spiegone per ribadire le stesse regole già spiegate nei primi 5 capitoli.
Anzi, vengono contraddetti i film precedenti.
La morte è pigra e non colpisce in gruppo (cosa che ha mostrato di fare in altri capitoli più nichilisti, non che questo non lo sia in fin dei conti).
Budget mal gestito - guardare fotografia e CGI - e la regia ricerca disperatamente richiami a Sam Raimi, ovviamente non riuscendoci.

La sottotrama di Jude Law che non lega perfettamente con le interazioni principali si è infine dimostrata realtà con il are del tempo.

Nella Rochefort pastellata l’amore può risultare patetico o surreale, ma non si allontana mai dal suo essere tremendamente affascinante.

La conversazione può essere più intima e stimolante del sesso stesso e il nostro interesse non può che ricadere sui atempi sessualmente eccitanti e visivamente assenti di Spader.
Con la regia da manuale di Soderbergh - accostata da un eccellente colonna sonora - e le interpretazioni necessariamente intriganti e ambigue, il film non perde mai la sua essenza.

In attesa della monografia.

Il lavoro semi-autobiografico di Miyazaki, che doveva sancirne l’addio al grande schermo, è un ulteriore sogno ad occhi aperti. 
Un soffio continuo e inesorabile di vento - a volte buono ed altre maligno - nella vita di Jirô, un aspirante progettista aeronautico.

Per la prima volta in un film di Miyazaki abbiamo un salto temporale nella vita dei personaggi.
Il vento è il loro destino, la natura è presentata come viva (il terremoto è un entità malvagia che ruggisce) e l’intrecciarsi dell’amore per la vita e per la morte rende il vero e profondo significato dell’esistenza dal uno sguardo personale e soggettivo.

“Un ingegnere che non sogna è soltanto un ingegnere”.

Watched on Friday May 16, 2025.

In attesa delle monografia.

Quanto amore riusciamo a percepire dalle pennellate?

Ponyo ha una storia semplice ma ricca di fantasia, immersa in un mondo immaginario.
Tanto semplice quanto vitale, in quanto Ponyo e Sosuke si troveranno a dover ristabilire l’equilibrio ecologico ribaltato dall’utilizzo della magia.

Un racconto per adulti e per bambini, più pulito e tenue di alcuni dei precedenti, senza dimenticare le tematiche ambientali tanto care.

Ponyo è una bambina, un amica immaginaria, un po’ Pinocchio, un po’ Nemo, un po’ forse quella magia che noi umani abbiamo gettato nella profondità marine.

In attesa delle monografia.

Rispetto alle prime visioni ho notato qualche “difetto” nella struttura che ricerca i vecchi lavori e nell’inserimento dei personaggi all’interno del mondo fantasmatico.

L’accuratezza visiva è sempre ai massimi livelli, ma l’immaginario collettivo non ha una perfetta coesione come i precedenti.

In attesa della monografia.

La generosità nel raccontarti il mondo, nel regalare con il cuore dettagli, personaggi e movimenti a volte persino impercettibili, ma in grado di renderlo vivo.

Come il treno possiamo andare in una sola direzione, cercando di non voltarci per guardare alle spalle, come fece la moglie di Lot nella Bibbia.
La purificazione a attraverso le nostre azioni, e una caduta di Chihiro - sulla falsa riga slapstick che tanto fa ridere al Giappone - ha un valore diverso dato dal gesto che sta compiendo, e il suo sbattere la teste non è più quindi per inadeguatezza infantile ma per coraggio e altruismo incondizionato verso il prossimo, nella ricerca d’integrazione nel fantastico e sfiorando per la prima volta quel che significa “vivere”.

Quando ancora il cinema era intriso di erotismo.
Il ballo al tramonto è una perfetta rappresentazione sessuale della parte migliore della vita.

In attesa delle monografia.

Non è tutto bianco o nero, bene o male.
L’equilibrio delle ragioni cerca spazio nei territori.
Con una grafica che ricerca uno spettacolo straordinario, il film non si sofferma sulla violenza e diventa più una storia mitica medievale, tra folklore e battaglie, che una melodramma d’azione animato.

“The Host” normalizza la sua bestia e la incornicia subito nel paesaggio.
Come sempre oscillante tra il raccontare mostri - astratti o mai così concreti come questo anfibio verde lucido mutaforme - e il suo amore per gli esseri umani disastrati.

Vale di più l’elemento peggiore della famiglia o una qualsiasi azione del governo?
Bong Joon-ho già ha la risposta e non utilizza il mostro come metafora per mostrarcela.
Il male è vero, è reale, è presente. Stando tra la commedia satirica, la parte orrorifica e una centrale d’azione, si mostra fin da subito il “vero mostro”.
Capace di crearne uno e simultaneamente di renderlo inferiore al suo aspetto mutaforme prendendosi il primato di cattiveria e stupidità.

Dall’apertura fredda, clinica e cinica, concludiamo nel cuore del film, dei personaggi e di Bong Joon-ho.

Watched on Saturday May 10, 2025.

Dio non gioca a dadi,
ma ogni giorno lo vedo giocare a scacchi con la Morte.
Quella partita infinita.
A volte sembra giocare da solo.

Il cinema italiano ha avuto il  suo supereroe, seppur per poco.

In attesa della monografia.
Alla quarta/quinta visione prende sempre più forma l’idea che sia uno dei migliori film animati mai fatti.

Il primo grande atto d’amore totalmente esplicito all’Italia, agli aerei e più specificamente al Caproni Ca.309 Ghibli, da cui nome deriva quello dello studio e a Caproni dedicherà “Si alza il vento” 20 anni più tardi.

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“Come dire la verità se il mondo in cui vivi è basato sulle bugie?”
Ecco una chiave del film.
Un film che pone la domanda dell’individuo e della società, della coppia come simbiosi totale o della distanza di sopravvivenza.

La sceneggiatura di David Koepp è tagliente e dinamica essendo in grado di catturare l’attenzione dello spettatore mantenendolo in tensione senza la necessità di sparare troppo presto i colpi a disposizione.

L’utilizzo dei grandangoli e della fotografia sovraesposta raccontano un mondo totalmente visibile e illuminato dove in realtà l’oscurità si cela perfettamente nella luce del giorno.

Fassbender - ancora più robotico e automatico rispetto a “The Killer” - assieme a Cate Blanchett danno vita ad una coppia “calda” e attraente, basata sulla fiducia (fondamentale) ma anche sul controllo reciproco, più protettivo che geloso.
La grandezza sta nel render calda questa relazione nonostante il lavoro “freddo” a cui sono abituati.
Così anche il cast di accompagnamento è perfettamente amalgamato nel contesto tagliente e rapido.
La grande verbosità è sopperita da dialoghi rapidi e decisi, rivelatori di problemi di coppia più che di segreti internazionali.
Siamo sicuri sia un film sulle spie? Che vuole indagare e scovare la talpa? O forse si tratta di indagare l’equilibrio delle relazioni…?

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youtu.be/V6CK0qoAM_I?si=AR0G-vTn__58H19b

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Si chiude la quinta fase Marvel.
Si chiude con il vano tentativo di districarsi e distaccarsi dalle pesanti ombre del ato, muovendosi in territori conosciuti - e positivamente battuti - velandosi d’ipocrisia per mascherarlo.

Echi del ato risuonano e dominano il film.
La metafora incarnata nell’ombra - cinema commerciale che incontra il cinema d’introspezione - è sì manifesto depressivo ma raccoglie in sé la pesante figura che aleggia oscurando il nuovo sole: quella degli Avengers.

Da piccoli richiami a grande effetto nostalgia, si rimane intrappolati in un remake poco soddisfacente degli “Avengers”, prendendo in prestito anti-eroi simil Dc e un personaggio volante che “vagamente” ricorda qualcuno con una grande S sul petto.

La trama manca - come sta capitando spesso - di veri conflitti etici o morali, di cattivi in grado di creare interesse e smuovere il mondo circostante o addirittura di potersi caricare il peso del film sulle spalle.
Le interpretazioni sono scariche e la caratterizzazione di ogni personaggio è debole e necessita spesso di un recap utile allo spettatore per ricordarsi chi sia nell’effettivo.

Florence Pugh, unico vero volto forse a richiamare l’attenzione - più per il nome - finisce inevitabilmente nella morsa dell’uguaglianza. I personaggi si limitano a vicenda, scritturati in maniera tale da non avere profondità e camminare in acque superficiali e sicure nella speranza di attirare una nuova linea generazionale (ecco l’inserimento di una figura “emo” come per il remake de “Il Corvo”).
Costante la ricerca infatti della battuta, utile alla risata più che alla trama.
David Harbour sembra l’unico interessato a muoversi nella comicità del personaggio, vedendo anche la stanca interpretazione di Sebastian Stan.

Con la debole metafora depressiva e la sua conseguente risoluzione, la Marvel ha aperto un occhio al contemporaneo nella ricerca costante di una via sicura e redditizia, sperando che si riveli creativa.
Nel mentre ricorda ancora quanto la prima fase sia stata…
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In attesa della monografia.
Continua il lavoro sul mondo esteticamente accogliente ma di difficile integrazione umana.

La strega, come poche volte in quegli anni è una figura positiva e si distacca dal suo classico archetipo.
I film di Miyazaki hanno sempre il pregio di raccontare i personaggi per la loro delicatezza, gentilezza, forza e grazie alle imperfezioni, soprattutto dei protagonisti perfettamente coese nel mondo creato, diventiamo parte di quella creazione.
Un mondo dove le situazioni difficili non sono addolcite ma vengono affrontate.
Un mondo in cui Miyazaki non si vergogna di mettere in imbarazzo i personaggi ma anzi, da quella realtà trasposta ne trae sempre giovamento per la verità.

In attesa della monografia.
Le forti radici nel cielo - affondate saldamente nella terra nel successivo Totoro - cercano libertà, incatenate all’uomo dall’architettura fortemente cubica coesistente grazie all’assoluto equilibrio e bilanciamento di pesi e forze.

Tassello per tassello il castello è libero di volare non più accanto all’uomo, ma sopra. Facendo coesistere natura, tecnologia e umanità: ma non l’uomo.

Ancora una volta una donna al comando, un grande senso di famiglia, un ragazzo che come raramente si vede non teme l’imbarazzo del contatto ma anzi, ne gioisce, ed infine una parola, una semplice parola breve a distruggere il desiderio di grandezza dell’uomo.
“Il Robot Selvaggio” ringrazia ancora Miyazaki dei suoi lavori.

Chi confonde l’estasi con il suicidio?
La morte come massimo godimento.
Una perversione meccanizzata lontana da ogni pensiero plausibile e raccontata come una perversione reale, non nostra, ma lasciandoti il pensiero di voler vedere trasposte le tue maggiori e oscure, a volte benevole sotto i tuoi occhi, perversioni.

In attesa della monografia.
Non ci sono conflitti e non ci sono cattivi (quello che ricerca la Disney ora senza successa e nel modo scorretto).
Il film è fatto di magia, di emergenze come fatti della vita e non di tragedie, di famiglie accogliente e amorevoli.
Un po’ ti spaventa, poi ti sorprende, ti abbraccia e ti lascia librare in volo.
Il mondo come dovrebbe essere.

In attesa della monografia.
Un mondo orribile con scintille di speranza agli occhi della protagonista. L’ambiente deturpato dall’uomo in grado di riequilibrarsi. Metafore sulla bomba atomica, attimi di fanciullezza felliniana e mani oppressive alla “Repulsion” di Polanski.
Per chi ha visto “Mickey 17” ci troverà parecchie somiglianze.

Li vediamo da subito “rubare”, una preparazione a quello che avverrà.
Capiamo che lo fanno per sopravvivere.
Capiamo che sono ognuno lo specchio dell’altro, che la loro tridimensionalità appare nel finale con segreti e sfumature complesse e profonde, solo accennate ma chiare e dense di significato.

I personaggi vivono da prima del film e continueranno a farlo dopo.
“Si è madre solamente quando si ha partorito?”
Kore’eda accoglie approfondendo il lato umano della questione.

Watched on Friday April 25, 2025.

Watched on Thursday April 24, 2025.

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Ryan Coogler si riunisce a Micheal B. Jordan e Goransson raccontando e costuendo un mondo inizialmente solido e concreto che ha voglia di raccontare nei minimi dettagli ma che a volte si ritrae nascondendolo. 
Strana in questo la scelta di tenere a fuoco solamente i personaggi (il direttore della fotografia è lo stesso di “The Last Showgirl” con cui ha annullato la profondità di campo).

Il lavoro intressante nel mischiare il cinema di genere al cinema d'azione al voler raccontare storie dolorose di comunità e di razzismo creano una giusta atmosfera collegandola perfettamente a ato-presente-futuro con una magnifica colonna sonora. 
La musica rompe - letteralmente - le pareti concrete e del tempo, aiutando l’inserimento del metafisico nella storia reale, altrimenti complicato.

I vampiri irrompono dopo i tanti prologhi e la necessità della costruzione del “mondo”, inizialmente come metafora del KKK per poi diventare e offrire una nuova prospettiva di una comunità più unita.

Puoi essere nero anche essendo altro?
Ecco la domanda che si pone.
Dalla metà in poi a livello di sceneggiatura si cammina un po’ sull’acqua e ci sono tante fasi di “stallo” tra i personaggi (bravissimi a recitare e a tenere il ruolo) e si dilunga tanto l’assalto dei vampiri forse mal gestendo la figura mitologica a livello di rispetto delle leggi imposte.
Così come i tanti prologhi, si ha bisogno di più epiloghi per arrivare ad una chiusura.

Manca una vera parte di “magia” che aiuta e giustifichi delle scelte e a volte ci si chieda chi sia davvero il protagonista, se il ragazzo oppure i gemelli (per questo gli epiloghi).
Il film intrattiene e diverte anche grazie alla magnifica colonna sonora in grado di rompere…

Recensione compresa su YouTube:
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Il cinema di Guadagnino e l’importanza dei corpi. La materia diventa anima ed essenza, movimento di pensiero e l’antimateria si fa concreta. Il contatto si fa astratto e il lavoro morboso della carriera del regista lo porta ad un assenza di corpi - magnificamente - scontrandosi inevitabilmente con Cronenberg per la trasformazione del tempio umano.

Queer ti dà quello che non ti aspetti o non pensi di aver bisogno. Nel primo atto è una grande seduzione di Lee - uno stanco, sudato e condannato Daniel Craig - nei confronti di Allerton e nei confronti di noi spettatori, siamo rapiti e trasportati nella tela della seduzione.
Se ci rifacciamo al cinema di Guadagnino sappiamo che un tocco sulla spalla significa “contatto erotico” - Chiamami con il tuo nome - e così il tocco di Allerton diventa simbolo concreto per noi della sua omosessualità latente e repressa.
Così come il Pasto Nudo, altra opera adattata di Burrougs, l’essenza è nella repressione delle nostre pulsioni omosessuali.

“Cos’è uomo che sente e vede altro se non triste?”
Lee comprende e vive la sua maledizione, nell’interzona vaga come un fantasma ma la tristezza è accettazione dell’essere che lo renderà meno triste del compagno negante del suo essere e costantemente in fuga.
La trama si dissolve quasi fosse anch’essa sotto effetto dell’Ayahuasca, il mondo si fa onirico e tra Lynch, Kubrick, i Narvana, Wong Kar-Wai e Apichatpong, il tutto si fa specchio.
Allerton è lo specchio giovane e vede in Lee quello che potrebbe diventare. Lo specchio di noi stessi - come suggerito da Cocteau - esseri invisibili alla ricerca disperata dell’assuefazione, dipendenti da droghe e amore seppur sia forse la stessa cosa. La ricerca di noi stessi attraverso l’altro e lo scoprirsi nella paura, sapendo di non essere in grado di viverlo.
Lee lo è, lo affronta, è altro se non triste.
Ma cambia pur tornando alle origini.
Finendo come Bowman, ricreando Videodrome, si dissolve nel suo specchio e nella sua essenza.
Queer è Lee e forse tutti noi siamo lui.

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L’incarnazione della rabbia, del pensiero e delle sensazioni. La protagonista come distruttrice ed eroina.
La nevrosi genetica nel trasporto generazionale.
Le basi e i temi del cinema “Cronenberghese” come direbbe lui.

È così semplice il significato della vita di chi ha inventato la commedia

La quasi totale assenza di una trama incentra il tutto sulla ciclicità e l’immutabilità del agire del dottore, portando così la figlia a vivere delle sue sofferenze.
Un horror pennellato dalla semplicità e dal surrealismo, come decanta il finale tra le colombe.

In attesa della monografia.
Il primo di Miyazaki, lontano per certi versi e accostabile per altri, rimane tra i meno ricordati.
Lontano dal manicheismo (tratto sempre distinguibile) e con comicità da espressioni sciocche a imperturbabilità, presenta Lupin senza il bisogno di conoscerlo in precedenza. Il suo rapporto con il compagno e con il mondo sembra esserci familiare fin da subito, così come le sue scelte e la sua tipica sfrontatezza.
Un lavoro da recuperare.

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Il filone satirico-capitalista (Mickey 17, The Menù) assieme alla commedia-horror (Finché morte non ci separi) sta avendo parecchio seguito sia a livello produttivo che commerciale.

Death of a Unicorn, esordio in regia per Alex Scharfman, cerca di creare un mondo fantastico diretto alla fascia adolescenziale, rispettandone le regole (anagrafiche) e regalando qualche scena di splatter.
Jenna Ortega e Paul Rudd sono il simbolo del riconoscimento giovanile - lei nuova eroina gotica e lui simbolo di saghe commerciali Marvel e Ghostbuster (si incroceranno i flussi nel finale non a caso) - con un grande Will Poulter e una libera Tea Leoni, il film prova ad amalgamarsi ai suoi personaggi senza successo.

Vengo toccati tanti temi a partire dal lavoro sul trauma al pensiero ecologico, ando allo sfruttamento ed arrivando a quello che dovrebbe essere il core: il rapporto padre-figlia.

Il montaggio non ben calibrato lascia poco respiro a fatti e spettatori ma anche ai personaggi non liberi di esprimersi. La messa in scena a tratti può sembrare teatrale con battute pronte a mettere un punto sulla risata piuttosto che approfondire la situazione.
La figura dell’unicorno non ha regole definite e per essere una creatura mitologica e per la ricerca di un mondo fantastico è un punto fondamentale.

Si percepisce l’utilizzo del budget, dal cambio di nitidezza dei VFX alla necessità di gestire scene dietro ai teli lavorando con le ombre per risparmiare fondi per il gran finale. Sentire il budget non essendo minimo, ed avendo una fotografia pulita e dettagliata può risultare controproducente.

Il film parte da un incipit interessante e a tratti riesce a divertire richiamando con scene e tematiche anche “Jurassic Park”, (sconvolge la pulizia dei dinosauri rispetto all’unicorno) ma qual era il punto centrale di tutti questi temi…?

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Kirk Douglas con il ghiaccio nelle vene ferma il tempo e le emozioni - per lo più positive - nel ruolo selvaggio e spietato allontanato da qualsiasi tipo di comione.
Il cinismo di Wilder è un duro ritratto del circo mediatico con il rifiuto del lieto fine. 

Non si trovano inutili esposizioni e non c’è una sola inquadratura che non racconti o che non svolga il suo dovere.

Una favola horror per bambini, gotica ed espressionista, in grado di creare uno dei cattivi più iconici della storia del cinema: un Robert Mitchum senza tempo
Primo e unico film di Charles Laughton da regista.

Watched on Monday April 14, 2025.

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Ron Howard indaga in maniera inedita rispetto alla sua filmografia il lato umano più oscuro.
Tratto da una storia vera ambientata sull’isola di Floreana, il film vanta un cast stellare poco sfruttato data la caratterizzazione superficiale dei personaggi non convincenti a livello di reazioni.
Jude Law - più muscoli che cervello stranamente per un personaggio della sua levatura - è il dottor Ritter, pioniere alla ricerca di una salvezza mondiale, in realtà alla ricerca della vera essenza dell’uomo bastata sulla sofferenza e riscoperta dell’istinto primordiale animalesco.

Il film lascia da parte i motivi e le intenzioni dei personaggi concentrandosi su un intreccio manipolatorio e autodistruttivo, basato sull’istinto di sopravvivenza tipico dell’uomo ma non coeso e chiaro all’interno dell’intento filmico.
L’irrealtà della pulizia fotografica e di uno “sporco” ricercato trasformatosi in “pulito” non fanno percepire la vera difficoltà e la sofferenza delle scelte di abbandono della società per un estraneamente totale e le difficoltà di sopravvivenza che ne conseguono.
Con uno stile prettamente americano - personaggi sempre ben nutriti e con la casa ben costruita senza avere materiali per poterla fare - arriva a schierarsi dalla parte della famiglia (essendo stati scritti due libri che si smentiscono a vicenda su questa questione) sceglie il lato perbenistico della questione e innalza l’amore familiare come unica fonte di salvezza.

Girato bene e con un’incipit interessante, il film perde il fascino e l’interesse andando avanti con la narrazione, come per la baronessa (Ana De Armas) che via via perde forza sullo schermo cadendo nel macchiettistico.
Il vero lato d’interesse poteva essere si l’autodistruzione e il nichilismo umano, ma anche la rottura delle regole autoimposte e ricercate dopo un lungo pensiero e impostate per la possibile salvezza mondiale. Annullarle significa tradire se stessi e ciò e ritornare a ciò che si ha abbandonato, trasformando così l’Eden in terra di conflitto…

Recensione completa su YouTube: youtu.be/44o7aien0Vg?si=buNmn6tMNEVsinEZ

È meglio parlare o morire?
Nella lenta noia solitaria l’amore ha il coraggio di tender la mano per ascoltare il corpo, ritagliarsi il tempo per conoscerlo e la forza di abbandonarlo al ricordo.

Dopo l’incontro con la madre forse si divaga troppo e la strana impostazione del terzo atto ne è l’esempio.
Una storia di sete, fame e amore, trattati da chi ha basato la carriera sul tema provando ad esprimerlo in più modo possibili.

Immersi gradualmente nell’oscura atmosfera sottile del viaggio minaccioso e contorto.
Narrazione non convenzionale e distintivamente inquietante che regala una strana tranquillità prima del finale.

Recensione completa su YouTube:

Il lato oscuro è veritiero dello star system che puntualmente ripropone la problematiche anagrafiche delle figure femminili ormai inadeguate.
 
Gia Coppola con lavora con primi e primissimi piani isolando i personaggi ed escludendo il corpo dal contesto di cui è solitamente protagonista e con arricchimenti registici - che potrebbero risultare intermezzi  - porta respiro al film.
Questa scelte coerente con la finalità e coraggiosa arricchiscono la performance sincera e profonda di Pamela Anderson, volenterosa di mostrarsi trasparente e senza trucco  (dove non era prettamente necessario).
Bautista fuori dal classico stereotipo si amalgama lentamente in una famiglia sul viale del tramonto, tra problemi amorosi e generazionali.
Fondamentale è il rapporto tra le ballerine e gli aspetti madre-figlia traslati nel lavoro.

Ricordando Sean Beker in “ The Florida Project”, tra scelte interessanti e forzature cinematografiche il film ragiona sul presente…

Recensione completa su YouTube:
youtu.be/p8rrSAcHh6E?si=KYGuzU1y4NDcSAm7

L’interrogativo dell’anticipazione della stanza posto nella prima visione (scritto nella prima recensione) questa volta è venuto meno. 
Ho notato molti errori di continuità di montaggio e qualcuno in scrittura, ma rimane tutto il resto.
Ovvero una costruzione magistrale della tensione in un film che ti trasporta negli anni ‘80 per ambientazione e scenografia.

Il lento ed esitante ballo al parco è coreografia di una preannunciata dichiarazione d’amore nata tra i sorrisi malinconici.

L’aver reso sua la storia è notevole, concentrandosi più sullo sviscerare il racconto che limitarsi al fantastico, così come il suo fascino attrattivo per i corpi.
Ma oltre ad una stupenda connessione Swinton-Johnson non riesce a creare una vera tensione viscerale sotto pelle come vorrebbe e addirittura arriva alla costruzione di un finale body-horror ai limiti del comico scegliendo di lavorare con la deformazione dei corpi in CGI.

Watched on Thursday April 3, 2025.

La carrellata verso destra nel corridoio è stata definita da Pauline Kael: “Un intervallo durante il quale Scorsese stava forse prendono in prestito da Antonioni”.
Eppure per Scorsese è l’inquadratura più importante del film, perché noi spettatori non possiamo guardare e sopportare Travis provare il dolore del rifiuto. Ci viene invece mostrata dettagliatamente a rallentatore la sua furia omicida.

Scorsese trova per Travis più doloroso il rifiuto dell’omicidio ed è la perfetta analisi del film.

Quello che sappiamo sulla struttura in tre atti sarà inutile in questo film, anche se come molte sonate ha tre movimenti.
Alla fine i personaggi sentono le stesse tensioni dell'inizio, ma la facciata è stata distrutta e dovranno procedere senza protezione.

• 2001: A Space Odyssey
• Citizen Kane
• Spirited Away
• The Leopard
• A Clockwork Orange
• Civil War
• Poor Things
• Parasite
• Crimes of the Future
• The Deer Hunter

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In allegato ai film il link della recensione completa su YouTube o Spotify

• Black Bag
• Thunderbolts*
• Sinners
• Queer
• Death of a Unicorn
• Eden
• The Last Showgirl
• The Shrouds
• The Monkey
• PlayTime

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Usciti in Italia nel 2024:

youtu.be/QVOGrlbDRB0?si=occB8gQIicmzbGrK

1. Megalopolis
2. Civil War
3. Poor Things
4. The Substance
5. The Zone of Interest
6. Anora
7. Joker: Folie à Deux
8. Kinds of Kindness
9. Perfect Days
10. Anatomy of a Fall

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youtu.be/YEddgvvVnN0?si=zABoEiylkOTU9Shq

• Night of the Living Dead
• Dawn of the Dead
• Day of the Dead
• Land of the Dead
• Diary of the Dead
• Survival of the Dead

Monografia: youtu.be/QJ4ZK8M9oCw?si=-7qWbX3TZJ0vvoth

Nosferatu: youtu.be/psO1JGL5VDU?si=pGVePF93UDduRBBc

• The Witch
• The Lighthouse
• The Northman
• Nosferatu

youtu.be/o2L1tV8cvUA?si=ZFn1iP6ZCIMFaLOA

• Mister Lonely
• Spring Breakers
• AGGRO DR1FT
• The Beach Bum
• Julien Donkey-Boy
• Gummo
• Trash Humpers

• The Seventh Seal
• Nostalgia
• Winter Light
• Silence
• The Last Temptation of Christ
• Andrei Rublev
• The Gospel According to Matthew
• The Sacrifice
• The ion of Joan of Arc
• The Trial of Joan of Arc

...plus 11 more. View the full list on Letterboxd.

1. Nostalgia
2. Mirror
3. The Sacrifice
4. Andrei Rublev
5. Ivan's Childhood
6. Stalker
7. Solaris
8. The Steamroller and the Violin